Roma- Cambia il “senso del lavoro”. 9 persone su 10 sono insofferenti verso il proprio lavoro e il 43% decide di abbandonarlo. Di questa fetta il 97% lo fa senza un piano B. Di questa larga fetta la maggioranza è composta da donne e under 27 per un totale del 77%. A comporre questa massa di sofferenti ci rientra anche la grossa difficoltà a trovare il giusto equilibrio tra sfera privata e sfera lavorativa. Questi sono dati dello studio Unicusano che evidenzia l’arrivo dagli Stati Uniti di alcuni fenomeni come Great Resignation, il job-creeper, il quiet-quitting, il Digital Nomads. Ciò che ha pesato maggiormente sulle spalle dei lavoratori e li ha costretti ad assentarsi ripetutamente è legato alla sfera psicologica e in particolar modo a quello stato di esaurimento nervoso a livello fisico, mentale ed emotivo causato da una serie di fattori legati proprio al lavoro. Diverse le motivazioni: dall’insoddisfazione personale alla ricerca di migliori condizioni economiche, dal desiderio di una maggiore flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro alla rottura dei rapporti interpersonali con i colleghi. Ma soprattutto la crescente insofferenza vero l’essere IPER, iper-competitivo, iper-veloce, iper-digitalizzato, che ha imposto una velocità cui si riesce a star dietro sempre in meno.
C’è il quiet quitting: una fetta intorno al 30% di lavoratori che si limitano a fare lo stretto necessario, non sentono valorizzati i propri talenti, non sono coinvolti emotivamente nell’attività lavorativa, non credono nei valori, messaggi, prodotti e servizi dell’azienda e al suo opposto c’è il job creeper che colpisce il 6% delle persone che schiacciate dalle necessità del lavoro fondono insieme le due sfere, lavorativa e privata rendendole una unica cosa fino a trasformare il lavoro quale vero aspetto della vita.
Il grande punto divaricatore tra passato e presente è a quota 35 anni. Sotto la quale c’è la flow generation: giovani dal futuro incerto, lontani dal concetto di lavoro a tempo indeterminato, con un’identità mutevole ed hanno trovato nel nomadismo digitale la loro forma più pura di espressione. Oggi sono 35 milioni in tutto il mondo con un valore economico di 787 miliardi di dollari.
La pandemia ha lasciato un grosso segno che dal subconscio emerge col tempo. Della libertà di spazio e movimento hanno fatto il loro scopo primario, ispirando nuove forme identitarie e professionali, prive di confini fisici e mentali. Lavorano da remoto, lavorano da qualsiasi parte del mondo, una sfida che non guarda strettamente alla remunerazione ma a gradire la vita giorno per giorno senza guardare oltre perché tutto è costantemente incerto, fluttuante, una vita alla si vedrà.